Da Marceddì a Lanzo Torinese

Marceddì è un piccolo borgo di pescatori, affacciato sul golfo di Oristano. In questo borgo si svolge la vicenda raccontata dallo scrittore sardo Davide Piras, che abbiamo già ospitato un anno fa, nella rubrica Piazze Amiche su Cose Nostre, per presentare il suo libro su Gigi Riva “Rombo di Tuono”.

Che connessione c’è fra Marceddì e Lanzo Torinese ce lo spiega lo stesso Davide Piras nell’articolo pubblicato sull’ultimo numero di “Terralba Ieri & Oggi”, unico giornale della comunità GEPLI ad essere presente in Sardegna. Un grazie per la segnalazione all’amico Pino Diana, presidente della Pro Loco di Terralba, del cui comune Marceddì è frazione.

Da Marceddì a Lanzo Torinese

Lanzo Torinese è un borgo vecchio più di mille anni, arroccato ai piedi delle Alpi Occidentali nelle Valli di Lanzo, a cinquecento metri d’altezza. Attraverso l’antico ponte del diavolo, costruito quasi settecento anni fa e divenuto celebre per le leggende demoniache che ne avvolgono la storia, Lanzo è stato il crocevia che permetteva alle diverse fazioni di raggiungere Torino evitando che ci fossero scontri tra i marchesi di Monferrato, i principi di Acaja e i Savoia. Nei sentieri di Lanzo passò per ben due volte la Sacra Sindone che per cinquecento anni appartenne appunto ai Savoia. A Lanzo visse a lungo Don Bosco, il quale insegnò nel collegio salesiano, e ancora oggi i suoi oggetti personali sono custoditi nella chiesa di San Pietro in Vincoli. Quindi luogo di Santi, Lanzo Torinese, giacché nel borgo si stabilì fino alla morte anche il Beato Federico Albert, fondatore dell’ordine delle suore vincenzine di Maria Immacolata, religiose dedite alla cura e all’istruzione degli orfani. C’è anche tanta letteratura che si intreccia con questo piccolo paese di 4800 abitanti divenuto città per meriti dopo la medaglia d’argento al valor militare ottenuta per la strenua lotta contro i nazisti. Nel 1918, alla fine della Prima Guerra Mondiale, Eugenio Montale passò sei mesi a Lanzo come controllore dei prigionieri austriaci condannati ai lavori forzati nelle miniere di talco. E Primo Levi, nel 1941, strinse amicizia con tanti abitanti del luogo mentre svolgeva abusivamente la professione di chimico nella vicina Amiantifera di Balangero. Lanzo ha dato pure i natali alla poetessa Ines Poggetto, una delle donne più attive durante la resistenza.

Passeggiando tra le chintane che bucano torri e vecchie ville signorili, si respira un’aria medievale che sembra resistere allo scorrere del tempo; Lanzo si muove a un ritmo compassato, con i suoi abitanti cordiali, le antiche botteghe, i pastifici, le scuole di ricamo, i musei, il crocchio dei grissini e dei torcetti tradizionali, infine il silenzio del gigantesco eremo camaldolese abbandonato a due chilometri dal centro abitato, quasi che questa costruzione divenuta poi ospedaliera avesse deciso di isolarsi per andare a morire in solitudine come fanno gli ultimi lupi rimasti nella zona, bestie più ostinate degli orsi rifugiatisi in altura per sfuggire all’impertinenza dell’uomo.

È a Lanzo, in questo luogo incantato, che si è svolto il Premio Letterario del Borgo Italiano 2021, una rassegna itinerante che va a interessare un borgo diverso in ogni edizione. Per potervi partecipare è necessario che l’opera abbia una caratteristica particolare: la trama del romanzo deve essere ambientata in un borgo realmente esistente, e attraverso il racconto devono emergere cultura e tradizioni del luogo. Da tempo seguivo con interesse il premio che negli anni ha guadagnato fama ed è stato capace di lanciare alcuni scrittori emergenti. Prima che scadessero le iscrizioni sono riuscito a concludere un romanzo al quale lavoravo da tempo e che era invece nato come soggetto cinematografico per un progetto ideato dalla Sardegna Film Commission. Il romanzo s’intitola “Mater Laguna” e racconta la storia di due giovani omosessuali che vivono la loro relazione durante il periodo fascista, un’epoca nella quale il Duce e il Regime negavano persino l’esistenza degli omosessuali, anche se quest’ultimi venivano perseguitati e seviziati senza fare proclami, con l’intento di sopprimere le loro inclinazioni ritenute malsane dai miliziani. L’opera è completamente ambientata a Marceddì, fatta salva per l’incipit che si dipana da Lollove a Terralba. Trattandosi di un romanzo che affronta temi importanti, scritto con un linguaggio ostico per taluni perché in alcuni dialoghi si rifà anche a un sardo italianizzato, temevo finisse schiacciato sotto il peso di opere più dirette e facili da leggere e analizzare. Non è stato così: la giuria presieduta dal giornalista e scrittore Bruno Gambarotta ha apprezzato tantissimo la mia opera, ed è rimasta affascinata dal nostro borgo di Marceddì, che io ho cercato di raccontare fedelmente. Ai primi di luglio sono stato avvisato che Mater Laguna faceva parte della terna finalista. Ospiti dell’organizzazione, dopo il volo Elmas – Caselle, con mio padre siamo stati sistemati in un meraviglioso hotel a Coassolo Torinese, un edificio storico che domina tutta la Valle Tesso. La sera del 17 luglio c’è stata una degustazione di prodotti tipici locali e poi ha preso il via la serata finale di premiazione. In presenza di ospiti come gli scrittori Paolo Roversi, Alice Basso e Anna Raviglione, si è tenuta una piacevolissima manifestazione con inframezzi musicali, mostre d’arte, danze medievali e sfilate in costume. All’annuncio finale, dopo un ex aequo con lo scrittore molisano Giuseppe Zio, con il bellissimo romanzo “Tra il cielo e il mare. Della vita e delle avventure di Michelangelo Saraceno” a lui è toccato il primo premio per la sezione inediti, mentre “Mater Laguna” ha ricevuto il premio della critica: un riconoscimento che mi inorgoglisce e mi rende fiero di essere arrivato fin lì raccontando la mia gente, i nostri luoghi del cuore come Marceddì. Assieme alla targa ricordo mi è stata consegnata un’opera d’arte preziosa, elaborata da una pittrice piemontese. Dulcis in fundo, l’editore partner del premio ha formalizzato la proposta di pubblicazione per Mater Laguna: una sorpresa, infatti la pubblicazione era garantita solo al vincitore della sezione inediti.

Non è la prima volta che arrivo in fondo ai premi letterari, ma in quest’occasione è stato diverso: quando il presentatore ha pronunciato le parole “Il premio della critica va allo scrittore Davide Piras e al borgo di Marceddì”, su quel palco ho capito che rappresentavo non solo me stessa ma tutto il mio paese e il nostro borgo di pescatori, che è stato capace di incantare una intera giuria di letterati. Quel premio non l’ho vinto io, l’ha vinto un romanzo che contiene tutta la nostra storia, le nostre tradizioni, i nostri luoghi. Come diceva lo scrittore russo Lev Tolstòj, se vuoi essere universale parla del tuo villaggio. L’ho ascoltato. Aveva ragione lui.     

 Davide Piras

 

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